Pagina (137/156)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Dico lo stesso anche di quando il segreto non è d’altrui ma nostro proprio, e quando noi vediamo che il rivelarlo fa danno solamente o principalmente a noi, e come tale, ci eravamo proposti di tacerlo, e poi lo confidiamo per isboccataggine.
      Ma che anche questa inclinazione, non sia naturale né primitiva (come pare), ma effetto delle assuefazioni, e dell’abito di società contratto dagli uomini vivendo cogli altri uomini, lo provo e lo sento io medesimo, che quanto era prima inclinato a comunicare altrui ogni mia sensazione non ordinaria (interiore o esteriore), così oggi fuggo ed odio non solo il discorso, ma spesso anche la presenza altrui nel tempo di queste sensazioni. Non per altro se non per l’abito che ho contratto di dimorar quasi sempre meco stesso, e di tacere quasi tutto il tempo, e di viver tra gli uomini come isolatamente e in solitudine. Lo stesso si dee credere che avvenga ai solitarii effettivi, ai selvaggi, a quelli che non hanno società o poca, e rara, all’uomo naturale insomma, privo del linguaggio, o con poco uso del medesimo, al muto, a chi per qualche accidente ha dovuto per lungo tempo viver lontano dal consorzio degli uomini, come naufragi, pellegrini in luoghi di favella non conosciuta, carcerati, ec. frati silenziosi ec.
     
      LE ARMI DEL RIDICOLO
     
      A volere che il ridicolo primieramente giovi, secondariamente piaccia vivamente, e durevolmente, cioè la sua continuazione non annoi, deve cadere sopra qualcosa di serio, e d’importante. Se il ridicolo cade sopra bagattelle, e sopra, dirò quasi, lo stesso ridicolo, oltre che nulla giova, poco diletta, e presto annoia.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Storia di un'anima
Memorie
di Giacomo Leopardi
pagine 156