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      Se il forestiero ha un revolver, deve adoperarlo. Lo sparo, a quegli animali non avvezzi, fa un certo effetto.
      Ma può darsi un forestiero che non abbia né revolver, né pane, né bastone. Ciò può capitare a un archeologo, a un naturalista, andati a spese del governo. L'uomo senza revolver, senza pane e senza bastone, o l'uomo che abbia sparato tutti i colpi del suo revolver e gittato via tutti i pezzetti del suo pane, a cui sia stato addentato dai cani sempre più baldanzosi il bastone fin presso alla mano, l'uomo in questo frangente ha sempre un mezzo tanto facile quanto sicuro.
      Egli deve sedersi tranquillamente sul terreno.
      I cani, pieni di meraviglia, si fermano, poi cominciano a girare intorno al seduto, abbaiano, ringhiano, brontolano, fiutano, ma non osano accostarsi. A poco a poco se ne vanno. Le cose più semplici, ma inesplicabili e inaspettate, mettono in diffidenza non soltanto gli uomini ma anche i cani.
      Del resto, lo espediente per cui l'uomo si salva dai cani che lo incalzano sedendo a terra, è antico e menzionato da Omero.
      Ulisse incognito si veniva avvicinando al ricinto, dove Eumeo teneva in custodia i porci:
     
      Videro Ulisse i latratori cani,
      E a lui con grida corsero; ma egliS'assise accorto, e il baston pose a terra.
     
      Edmondo De Amicis, che io cito probabilmente per l'ultima volta in questo volume, e da cui, ora come sempre, mi stacco a malincuore, dice che i cani, come ogni altra cosa a Costantinopoli, gli destavano una reminiscenza storica. Egli pensava ai cani delle famose cacce di Baiazet, che correvano per le foreste imperiali dell'Olimpo colle gualdrappine di porpora e coi collari imperlati, ed esclama: Quale diversità di condizione sociale!


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I cani
di Michele Lessona
pagine 128

   





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