Vi sono slitte specialmente fatte pei grossi carichi, altre più leggere, destinate specialmente a corse veloci che voglia fare un uomo solo. Lo Steller parla di certi rapidissimi viaggi, in cui un uomo avrebbe in tal modo corso sulla neve per ottanta o cento verste in una giornata, la versta russa corrispondendo appunto al chilometro nostro.
Questi ragguagli che lo Steller diede intorno ai cani del Kamtschatka, vennero dati dal Wrangel sui cani della Siberia. Sembra che questi siano un po' meno disgraziati di quelli, vale a dire meno maltrattati dall'uomo. Là si attaccano per solito a una slitta una dozzina di cani, e uno più provetto e particolarmente ammaestrato va primo e dirige gli altri. Basta che abbia fatto una volta un viaggio per ricordarsi benissimo la strada; sa riconoscere il luogo dove conviene far sosta, sebbene le capanne siano sepolte sotto la neve; si ferma, muove la coda, guarda il padrone come a dirgli che là bisogna scavare.
Quegli stessi cani che in Siberia tirano le slitte sulla neve, tirano in estate le barche a ritroso del fiume; se uno scoglio, o altro ostacolo, non lascia andar oltre il cane che guida gli altri, esso, seguito da tutto il branco, si getta a nuoto e va a risalire sull'altra sponda.
Il compenso alle loro fatiche che hanno i cani in Siberia non è guari superiore a quello che si dà al Kamtschatka. Hanno una razione giornaliera di dieci aringhe quasi in putrefazione.
Eppure sono così necessari all'uomo in Siberia questi animali che quando, come talvolta avviene, si mette fra di essi la moria e il numero grandemente ne scema, gli uomini costretti a far da sé ciò che soglion far fare a questi loro ausiliari, non ci riescono, la carestia non tarda a sopravvenire con tutte le sue conseguenze e colla conseguenza finale di una mortalità sterminata.
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I cani
di Michele Lessona
pagine 128 |
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