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      Inorridiro, e del misfatto atroceOdiàr l'autore. Il misero si giacque
      Con la squallida prole e con la nudaConsorte a lato, sulla via spargendo
      Al passeggero inutile lamento;
      E tu, vergine Cuccia, idol placatoDalle vittime umane, isti superba.
     
      La fata Manto, per gratitudine verso Adonio, s'impegnò a farlo riuscire colla moglie del giudice, la donna che amava perdutamente e senza speranza. Lo travestì, perché si presentasse a lei, da pellegrino, e
     
      Mutossi ella in un cane, il più piccinoDi quanti mai n'abbia natura fatti;
      Di pel lungo, più bianco ch'armellino,
      Di grato aspetto e di mirabili atti.
     
      Gli atti di quel cagnolino sono veramente straordinari, più straordinario ciò che è riferito della moglie del giudice, e straordinario al di là di ogni immaginazione possibile ciò che spetta al marito. Il realismo moderno più sfrenato fa l'effetto di un lume a olio davanti a una lampada a luce elettrica, se si paragona a quel racconto dell'«Orlando furioso».
      Questi cagnolini da signora, per trastullo furono adoperati alla caccia.
      Dugento anni or sono, Carlo Emanuele II si fece un luogo di caccia, con boschi, laghi, scuderie, canili, case e palazzi, poco discosto da Torino, dalla parte di ponente, al quale diede il nome di Venaria reale.
      Lascia, mio caro lettore, che io ti dica che non posso scrivere senza emozione questo nome, perché è quello del luogo ove io sono nato, a cui mi riportano le più care rimembranze della vita.
      Il conte Amedeo di Castellamonte portò il cavaliere Bernini, che veniva di Francia per ritornare a Roma, a visitare la Venaria, gli fece vedere e gli descrisse diligentemente tutto, e poi stampò quella sua descrizione, con disegni ricercati oggi per le rappresentazioni di costumi, vestimenti, cavalli, carrozze, cani e via dicendo.


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I cani
di Michele Lessona
pagine 128

   





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