Ulisse è accompagnato da Eumeo, vecchio servo guardiano dei porci, che non ha riconosciuto il padrone, e crede di accompagnare proprio un mendico. Sono arrivati alla soglia della casa dove i proci stanno banchettando. Eumeo crede meglio entrar primo, ma consiglia a Ulisse di non tardar troppo a tenergli dietro. Questi gli risponde che farà come egli dice e lo rassicura, soggiungendo che i travagli della vita lo hanno fatto paziente a tutta prova.
Così dicean tra lor, quando Argo, il cane,
Ch'ivi giacea, del pazïente Ulisse,
La testa, ed ambo sollevò gli orecchi.
Nutrillo un giorno di sua man l'eroe,
Ma còrne, spinto dal suo fato a Troia,
Poco frutto poté. Bensì condurloContra i lepri, ed i cervi, e le silvestri
Capre solea la gioventù robusta.
Negletto allor giacea nel molto fimoDi muli e buoi sparso alle porte innanzi,
Finché i poderi a fecondar d'Ulisse
Nel togliessero i servi. Ivi il buon cane,
Di turpi zecche pien, corcato stava.
Com'egli vide il suo signor più presso,
E, benché tra quei cenci, il riconobbe,
Squassò la coda festeggiando, ed ambeLe orecchie, che drizzate avea da prima,
Cader lasciò; ma incontro al suo signoreMuover, siccome un dì, gli fu disdetto.
Ulisse, riguardatolo, s'asterseCon man furtiva dalla guancia il pianto,
Celandosi da Eumeo, cui disse tosto:
Eumeo, quale stupor! Nel fimo giaceCotesto, che a me par cane sì bello.
Ma non so se del pari ei fu veloce,
O nulla valse, come quei da mensaCui nutron per bellezza i lor padroni.
E tu così gli rispondesti, Eumeo:
Del mio Re lungi morto è questo il cane.
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I cani
di Michele Lessona
pagine 128 |
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