Se tal fosse di corpo e d'atti, qualeLasciollo, a Troia veleggiando, Ulisse,
Sì veloce a vederlo e sì gagliardo,
Gran maraviglia ne trarresti: fieraNon adocchiava, che del folto bosco
Gli fuggisse nel fondo, e la cui tracciaPerdesse mai. Or l'infortunio ei sente.
Perì d'Itaca lunge il suo padrone,
Né più curan di lui le pigre ancelle:
Ché pochi dì stanno in cervello i servi,
Quando il padrone lor più non impera.
L'onniveggente di Saturno figlioMezza toglie ad un uom la sua virtude,
Come sopra gli giunga il dì servile.
Ciò detto, il piè nel sontuoso albergoMise, e avviossi drittamente ai Proci;
Ed Argo, il fido can, poscia che vistoEbbe dopo dieci anni e dieci Ulisse,
gli occhi nel sonno della morte chiuse.
Il cane del povero che seguiva il carro sul quale era portato al cimitero il padrone morto, il cane che, nudrito dalla pietà degli uomini che gli porgevano un po' di cibo, rimase sette anni sulla zolla dove il suo padrone era sepolto e ci morì; il cane del malfattore romano fatto annegare nel Tevere che seguì a nuoto e cercava di sostenere a galla il padrone agonizzante, hanno degno posto vicino al cane di Ulisse.
Dalmata [vedi figura]
Cani da caccia [vedi figura]
19. I cani nella medicina
Esculapio nacque da genitori ignoti e, in mancanza di ospizi per l'infanzia abbandonata che in quei tempi non si conoscevano ancora, quei genitori, o chi per essi, lo portarono nella radura di una foresta, e ve lo lasciarono senz'altro.
I vagiti del povero bambino furono uditi da alcuni cacciatori che si aggiravano là intorno, i quali accorsero, lo sollevarono dal suolo, e subito accostarono le sue labbra ai capezzoli della turgida mammella di un cagna che li seguiva.
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I cani
di Michele Lessona
pagine 128 |
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