Allora la furba volpetta apre un tantino la bocca, lascia il fieno sull'acqua, e se ne ritorna senza pulci alla riva.
Io mi ebbi da giovinetto una volpe che mi era messo in capo di ammaestrare. La smania dello ammaestrare mi tenne tutta la vita, e incominciai cogli animali. Quella volpe che, sia detto di passata, come tanti scolari che ebbi poi dei due sessi, non imparò nulla da me, era coperta di pulci. Allora mi ritornò alla mente la storiella della nonna, e io volli porgere alla volpe la opportunità di fare il bagno in quel miglior modo che le piacesse. Allogai la volpe in un ampio ricinto nel mezzo del quale c'era una vasca coll'acqua che veniva su fino al livello del terreno, dove avrebbe potuto a bell'agio fare la operazione sopra descritta per poco che ne avesse avuto gusto. La bestiola non se ne diede per intesa. Allora volli costringerla a quel bagno, la presi per forza, e per forza le cacciai la coda nell'acqua. Si difese con morsi e graffiate, la lasciai per darle tempo a pensarci sopra. Ricominciai un'altra volta, poi altre ancora, e fu sempre peggio.
Allora pensai che se le volpi non ne volevano sapere, o almeno la volpe mia, il metodo attribuito alla volpe avrei potuto applicarlo io stesso ai cani. Aveva un cane inglese docilissimo, che mi era molto affezionato. In breve riuscii a fargli comprendere ciò che io voleva da lui, ed egli, come si suol dire, si prestò gentilmente. Gli feci parecchie volte l'immersione graduata, lentissimamente, e riconobbi che le pulci non risalgono affatto.
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I cani
di Michele Lessona
pagine 128 |
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