Che fecer di Montagna il mal governo,
Là dove soglion fan dei denti succhio.
Il conte Ugolino, interrotto il fiero pasto, raccontò la storia terribile della sua morte e di quella dei suoi figliuoli a Dante, poi:
Quand'ebbe detto ciò, con gli occhi tortiRiprese il teschio misero coi denti,
Che furo all'osso, come d'un can, forti.
Gustavo Modena, inarrivabile nel dire questi versi, faceva una variante, e in luogo di «furo» diceva «che forar l'osso.»
Filippo Argenti, nella gora fangosa, cerca di aggrapparsi alla barca sulla quale sono i due poeti, e Virgilio lo respinge:
Allora stese al legno ambo le maniPerché il maestro accorto lo sospinse,
Dicendo: Via costà con gli altri cani.
Il dolore disperato fa latrare Ecuba caninamente:
Ecuba trista, misera e cattiva,
Poscia che vide Polissena morta,
E del suo Polidoro in sulla rivaDel mar si fu la dolorosa accorta,
Forsennata latrò sì come cane,
Tanto il dolor le fe la mente torta.
I golosi, nel terzo cerchio dell'Inferno, stanno sotto la pioggia gelata con grandine e neve e
Urlar li fa la pioggia come cani.
Oltre a ciò il cane Cerbero, che ha tre teste, di cui ciascuna abbaia come cinquecento cani insieme, li scuoia e li squarta. Il cane Cerbero si oppone al passaggio di Virgilio e di Dante, ma il primo gli gitta della terra nelle fauci.
Qual è quel cane che abbaiando agugna,
E si racqueta poi che 'l pasto morde,
Ché solo a divorarlo intende e pugna,
Cotai si fecer quelle facce lordeDello dimonio Cerbero, che introna
L'anime sì ch'esser vorrebber sorde.
Ma Dante in un punto del poema mette in scena il cane insieme coll'uomo e coll'agnello in una maniera che non mi ha mai persuaso.
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I cani
di Michele Lessona
pagine 128 |
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