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      Chi osa parlare di dubbi modesti, di trepide paure, di studii profondi, di notti vegliate, di lingue antiche e moderne, di geografia e di storia, di aritmetica e di geometria, di anatomia e di disegno, di esercizi e di metodi, a questi tempestosi figli del genio, che si sentono sempre l'arte ribollente nel cranio, e minacciante di scoppiar fuori sibilando dai buchi delle suture come il vapore compresso dalle pareti infrante dalla caldaia?
      Disgraziatamente questi genii rimangono tutta la vita incompresi, un bel giorno volgono le spalle alla soglia del tempio dell'arte scuotendo la polvere dai calzari, e proclamando il secolo venale, mercantile, prosaico, abbietto, sordido, rapace, indegno d'uomini pari a loro, si piegano brontolando alle vie comuni, si danno a far caminetti per appartamento e insegne da tabaccai, afferrano un posto di professore, cadono nel giornalismo, nelle amministrazioni delle ferrovie, s'aggrappano ad un qualsiasi impiego; alcuni salgono anche discretamente, ma sempre a malincuore, sempre stimandosi collocati cento cubiti al disotto dei loro meriti, sempre scontenti, sempre inquieti, sempre facendo un po' più o un po' meno di quello che devono fare.
      Pur troppo l'importanza, anzi la necessità di studii profondi, forti, svariati, non è ancora debitamente sentita in Italia.
      A che cosa servono (domandano molti), a che cosa servono la fisica all'avvocato, il greco all'ingegnere, la letteratura all'industriale, la geometria al magistrato, la storia antica al militare, il disegno, la musica a chi non è di professione pittore, suonatore, o cantante?


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Volere e potere
di Michele Lessona
pagine 482

   





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