Questa è reputata gente felicissima, beatissima, e desta invidia perchè si crede che non abbia altro da fare che adoperare allegramente la bocca o la mano privilegiata che porta nascendo: si crede che l'esercizio dell'arte sia poco più d'un trastullo, e richieda punto o pochissimo studio e fatica.
Queste sono le arti belle, le arti nobili, le arti liberali. Ma tutto il resto! I traffici, le industrie, e tutta la serie delle arti servili spetta ai reietti dell'umano consorzio, a questa gente utile, anzi necessaria, ma disprezzabile, che s'ha a tenere nel suo basso posto, e vuol essere derisa per poco che cerchi di sollevarsi e salire. Un patrizio di singolare ingegno, giovane ardimentoso ed atto a cose non ignobili, si lasciò sfuggire un giorno dalla chiostra dei denti questa bestemmia: che un operaio che vada al teatro gli fa compassione. Secondo quel giovane patrizio l'operaio non dovrebbe avere altro sollazzo se non quello che può trovar alla taverna.
Un letterato italiano, giovane e di parte liberale, meritatamente ben veduto e popolare, in un suo romanzo deride i droghieri che fanno studiare il pianoforte alle loro figliuole ed alle loro mogli, e sentenzia quell'uso come ridicolo. Le mogli e le figliuole dei droghieri devono far la calza, e fors'anche ricamare un pochino, ma più in là no.
Tanto l'infingardaggine di un popolo e le preoccupazioni e gli errori, figli di quella, operano su tutti, e guastano in parte anche i cervelli meglio assestati.
Dunque l'uomo che si ritiene qualcosa deve rifuggire dalle arti servili.
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