Molto sangue generoso fu sparso, molti nobili intelletti si sono consumati nella lotta per reintegrare l'antica costituzione siciliana.
Tuttociò fu bello, tuttociò fu grande. Ma oggi il punto di mira dei siciliani desiderosi del bene può essere ancora l'antica costituzione di Sicilia?
Se ponete la domanda in questi termini, a pochi reggerà il cuore di rispondervi di sì.
Se ponete mente alle opere, vi sentite tratti a dubitare che molti non la pensino proprio a quel modo, e non amoreggino ancora con quelle antiche e tradizionali franchigie.
Quei pochi cittadini a cui dà l'animo di confessarsi strettamente unitari, quei pochi che, pur riconoscendo tutte le magagne del governo, si credono tenuti a reggerlo e secondarlo invece di avversarlo deliberatamente e di proposito, per benemeriti che siano della loro città nativa, per lustro ed onore che le facciano, in breve sono messi da parte.
L'odio contro il governo si tiene in conto di virtù civile.
A sentire i discorsi che corrono, ogni malanno della Sicilia deriva dagli impiegati continentali; ogni sforzo vuol essere volto ad ottenere che in Sicilia vi siano soli impiegati siciliani.
Sotto il passato governo, il pubblico ufficiale miserabilissimamente pagato, aveva in cambio, di straforo, parecchie disoneste sorgenti di guadagno. Non si otteneva nulla senza mettere mano alla borsa: il cittadino che aveva bisogno di qualche magistrato non andava diretto a lui, ma vi metteva in mezzo un sollecitatore: questo, scaltrito dei giri e rigiri della corte, tirava dalla sua gli uscieri, gli impiegati minori, poi i capi, ungendo più o meno le ruote secondo il grado di ciascuno e l'ingerenza più o meno diretta nella faccenda.
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