Ebbero una mezza dozzina di uova, un po' di pane ed un fiaschetto di vino.
Il conto fu di quattro lire.
Al ritorno il nuovo venuto domandava all'altro se avesse mai visitato quelle sale sepolcrali di Palermo, famose per i versi di Pindemonte in risposta al carme immortale di Ugo Foscolo.
- Non le ho mai vedute, rispose il primo. E non per incuria, ma per disgusto che me ne venne dalle parole di taluni che le visitarono. Però, se desideri vederle, sono appunto non lontano da qui. Non abbiamo da far che una piccola voltata a sinistra prima d'entrare in città.
- Sì, andiamo; giova vedere quanto più si può in questo mondo.
- Gnuri, riprese l'altro (in Palermo il cocchiere si chiama gnuri), portaci alla chiesa dei Cappuccini.
Le gallerie sepolcrali stanno sotto la strada, illuminate da finestroni al disopra; son parecchie ad angolo retto e parallele. Ne esala un tanfo stomachevole che si sente già a capo della scala e che vi mozza il fiato. Ma la schifezza che vi viene al naso è raddoppiata da quella che vi giunge agli occhi.
Dalle pareti laterali, legati al muro, ritti, stipati, penzolano i cadaveri mummificati. Le membra stecchite si allungano, le facce nere fanno visacci di tutte le specie, molte a bocca aperta, talune digrignando i denti; le teste s'inchinano stranamente, avanti, indietro, dai lati; tutta quella gente morta è vestita nelle più pazze foggie: uno ha un berretto ricamato con un bel fiocco cadente sulla spalla alla brava; calze di bucato e pianelle gialle. Tutti portano, a mo' degli animali nei musei, un cartellino con nome e cognome.
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