In sul principio del secolo l'aristocrazia siciliana si divideva in due principali partiti: l'uno che cercava con tutte le sue forze l'indipendenza dell'isola e la costituzione autonoma, l'altro ligio al governo napoletano ed alla regina Carolina.
Non pochi dei primi volevano, con la costituzione e l'indipendenza, qualche riforma liberale, qualche progresso, che si confacesse alle condizioni del paese.
A capo di questi, insieme col principe di Belmonte, era il principe di Castelnovo e poneva nel maneggio del suo partito e nelle vicende della lotta tutto il vigore, e l'energia della sua volontà poderosa.
La disfatta di Mosca ed i patti del 1815 piombarono sull'Europa dolente, come valanga a primavera su un campo verdeggiante di mèssi.
Il principe di Castelnovo comprese che non c'era più allora nè per parecchi anni lotta politica che si potesse ragionevolmente sostenere e pieno di rammarico si ridusse alla vita privata.
Alle falde del monte Pellegrino, a tramontana di Palermo, e a poco più di un miglio della città, la famiglia dei principi di Castelnovo possedeva un'ampia e deliziosa palazzina, chiamata la Villa dei Colli. La posizione pittoresca e salubre, vasto il terreno; piccolo però il fabbricato, ma antico il progetto di erigere un grandioso edificio: un lungo viale di cipressi secolari segnava il luogo in cui doveva sorgere.
Il principe Carlo decise di innalzare quell'edificio grandioso, non a soddisfazione dei proprii comodi, ma a beneficio del suo simile; e mentre spendeva larghe somme a tal fine, veniva dicendo ai suoi famigliari: Non per me, ma per gli obliati figli del popolo sorgerà. E sul cancello esterno del sontuoso viale poneva in bronzo queste nobili e sante parole:
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