Egli prese moglie più tardi e a suo genio: ha un figlio che chiamò Ignazio per ricordare il buon zio, e questo Ignazio ha egli pure un figliuolo di nome Vincenzo, in memoria del babbo.
Vincenzo Florio, aiutato efficacemente dal suo Ignazio, circondato da gente dabbene che lo ama, contento di quanto ha fatto, accudisce tuttavia ai suoi negozi, e coglie volentieri ogni occasione di fare del bene, in questa sua avanzata età, pur sempre operosa.
Di certo tutti quelli che leggono questo libro concordano con chi lo scrive, nell'augurare al nobile vegliardo anni lunghi e felici.
Gli esempi di siciliani insigni, che nati in povertà, seppero col fermo volere levarsi in alto e giovare, sono numerosi in Palermo, e lungo quanto bello ne sarebbe l'elenco.
Verrò qui ancora in brevi parole menzionandone due.
Giovanni Meli, figliuolo di un mentecatto povero di ogni bene, nacque in Palermo il 4 marzo 1740. Ebbe a protettore il principe di Campofranco che lo avviò alle lettere: studiò medicina, e si diede in principio a quell'arte. Poi gli fu assegnata un'abbazia, perchè avesse un titolo ed un emolumento con cui coltivare a suo agio la poesia, senza la quale non avrebbe saputo vivere.
Fu il Teocrito e l'Anacreonte dei tempi moderni. Morì in Palermo il 20 dicembre 1815, e lasciò tal nome che di nessun altro la Sicilia va più altera.
E ripensando a questo poeta siciliano, un altro nome s'affaccia subito alla mente, nome che vivrà nel mondo, fino a che vivrà l'amore d'ogni cosa bella e gentile, voglio dire di Vincenzo Bellini.
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