I cavilli, le menzogne, i ritardi ai pagamenti, la mala fede, lo sprezzo del risparmio erano vent'anni fa il costume consueto de' mercantucoli napoletani, che assai spesso immaginavano che le bugie e le furberie potessero giovare in commercio più della semplice e specchiata onestà. È un abito da cui non si è ancora molto progredito da' mercanti al minuto in Napoli, se bene una scossa forte non sia mancata. E da questo deriva che i piccoli mercanti non riescono quasi mai quivi ad allargare i loro affari, e che per conseguenza anche oggi il commercio all'ingrosso continua quasi tutto in mano di stranieri, e, dopo il '60, anche d'altri Italiani. Gaspare, senza esservi spinto da troppi esempi, avea trovato nella propria onestà la norma più sicura per prosperare. Contemporaneamente, senza mai ricorrere a maestro, egli era riuscito a poco a poco ad imparare l'italiano, il francese e l'inglese così bene, che negli ultimi anni nessuno l'avrebbe distinto, nel sentirlo parlare, da una ben educata persona.
Così alfine egli era divenuto il primo ed il solo Napoletano che, secondo ciò che s'era proposto, importasse direttamente dalle fabbriche straniere ogni maniera di ferramenta che non si sapeva fabbricare in paese. La sua ricchezza cresceva di giorno in giorno, e con questa la sua generosità verso gli infelici. Il suo rione, quello del Mercato, è uno tra i più popolati e de' più poveri di quella parte della città, dove non abitano generalmente che operai e plebe infelicissima, tra cui pochissimi benestanti.
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