Non si parlava di libri d'onde si potessero cavar le invenzioni; di prospettiva, delle ragioni ottiche della luce, del valore de' toni dei colori, non si faceva motto. Un più qui o più là, una linea addrizzata o curvata, era tutta la loro lezione.
Il Morelli, a cui questo pareva troppo poco, cominciò a pensare tra sè che così magri precetti non aveano a far molto con la vera pittura. Anche nella grammatica, pensava con fanciullesca vivacità il piccolo imbrattacarte, ricordando la sua scuola, noi abbiamo esempi per non fuorviare dalle regole e non cadere in solecismi, ma il bello e buon latino è solo quello che vive eterno nelle scritture de' classici, che sentirono il loro soggetto scrivendo; e così poco si può dalle sole regole riuscire a dipingere davvero, come la sola grammatica, con gli esempi tolti da quello o questo scrittore, potrebbe dar la vera via alla buona e ingegnosa scrittura.
I quadri che si raffazzonavano alla peggio all'Istituto sembravano al giovanetto rappresentazioni di uomini, di fatti e di oggetti ch'egli non riscontrava in questo mondo, e che non poteva piegarsi a riconoscere per ammirevoli ripetendo il motto, volgare fra gli accademici, che il mondo artistico dovesse essere un'altra cosa, comodo coperchio ad ogni povero e presuntuoso ingegno. Il Morelli quindi, e i suoi colleghi più svegliati, pur valendosi de' modelli e de' sussidi materiali dell'Istituto, quanto a consigli preferivano a quelli de' professori un motto di un letterato, o una notizia d'uno scienziato che paresse sonar loro qual cosa di vivo o di vero.
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