Lavorando tutta la giornata, non mangiando quasi nulla, chiusi nello studiolo e ignoti al mondo intero, i due romiti erano intanto contenti come eroi, e certi della loro grandezza futura. Si promettevano che non avrebbero mai venduti ad alcuno i loro quadri; e quando la estrema stanchezza li forzava a sostare un poco da' loro lavori, dicevano tra loro di meritarsi un po' di premio. Il quale poi era questo, che tutti e due verso l'imbrunire s'avviavano alla villa Ruffo a Capodimonte ad attendere lo squillo d'un armonioso orologio ch'è su quel palazzo gotico. Quivi giunti tacevano aspettando, e non tirando neppure il fiato. Ed ecco udivano uno dopo l'altro i rintocchi che scendevano al cuor loro dolci come baci d'innamorata, e poi tornavano a casa commossi e giulivi come chi avesse ricevuto ricompensa troppo più grande del proprio merito.
Ogni volta poi che bisognasse al Morelli riscontrare il volto della donna, che dipingeva, con quello della sua parente siccome non eragli mai parso impresa possibile il procacciarsi altro modello femminile, bisognava portare la tela così com'era sino a Santa Lucia, a casa sua, attraversando col quadro addosso per due miglia l'intera città. Con poca fatica gli amici davano agli abiti loro un aspetto anche più misero che non avessero, e per non essere canzonati si tramutavano in due facchini: così sull'alba scendevano dallo studiolo alla casa del Morelli. Questi cercava la sua parente, le poneva il capo in posizione, e ritraeva. E poi, aspettata la sera tarda, il pittore si caricava di nuovo il quadro e partiva seguìto dall'amico, che con una gran mazza in mano gli guardava le spalle da monelli e da ladri che spesseggiavano, e si rintanavano contenti a mezza notte per ricominciare all'alba i propri lavori.
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