Ma un giorno tornando alla sua locanduccia, il Morelli mise mano nel suo baule per pigliarvi qualche danaro, ma con suo grande spavento non vi trovò più nulla. Proteste e minaccie furon vane; la sua camera era stata lasciata aperta, e la polizia di Monte Citorio rispose ai suoi reclami con una stretta di spalle. Gira solo mezza città disperato, non della vita a cui vedea mancare ogni mezzo, ma del quadro che non avrebbe potuto più finire. A sera ritorna a casa, torna per cercar di nuovo fra la sua roba, e non vi trova più neppur questa. Il locandiere non v'era, e il Morelli, certo d'un altro furto che gli toglieva l'ultima speranza, affannato, impazzito, uscì di nuovo dall'albergo, col cuore chiuso e quasi fuori di sè: gli pareva che ormai non gli giovasse più a nulla la vita.
Fatti pochi passi, incontra il figlio del professor Ruspi, che lo ferma e gli chiede sorridendo dove andasse. Gli dice poi che la roba l'avea presa lui, e portata in casa del padre per salvare da qualche altro furto il resto della roba del suo amico, e l'invita a venir a stare con loro. S'avviano a casa Ruspi, dove il generoso professore gli offre ospitalità, gli chiede se voglia dormire col figlio, e gli mostra sul tetto un locale dove potea metter su il suo studio. Non era ricco, e il Morelli avrebbe dovuto provvedere da sè al vitto; quanto al resto, non gli sarebbe mancato nulla.
Risalito così dall'inferno al cielo, il Morelli si rimise con più lena al lavoro. Non potea pagare per i modelli, ed egli senza scorarsi per questo decise di trattenersi per lunghe ore nei musei e nelle chiese di Roma, a ritrarvi pel suo quadro le pieghe e le membra che avessero le stesse movenze, e che potessero servire al caso suo in cambio del modello.
| |
Morelli Monte Citorio Morelli Ruspi Ruspi Morelli Morelli Roma
|