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      Era maturata in quel tempo col quarantotto la costituzione di Napoli, ed il Morelli, cinto di nuova gloria, volle tornare a vedere il suo paese che, già spregiato da tutti, ora gli parea che si fosse d'un balzo lasciato indietro il resto d'Italia. Quivi si ritrovò tra vecchi amici e nuovi ammiratori, co' quali sebbene consentisse per tutto in politica, pure non amava vivere dentro que' trambusti; e riprese le abitudini del suo studiolo chiuso e solitario, interrotte soltanto da un po' di zuffa con l'Istituto, che abortì, come tanti altri bei principii, nel quindici maggio.
      Quel dì sull'alba il Morelli udì delle barricate e della lotta imminente; uscì dal suo romitaggio, e venuto a Toledo, tra mille stupori incontrò a un tratto armati il La Vista, il Marvasi, il Villari. S'arma: comincia, non s'è mai saputo come, la zuffa, ed egli si trova fra i primi. È preso in una casa da cui combatteva, gli fanno attraversare le vie tra i soldati che gli fan fuoco addosso ma non lo colgono, gli danno colle baionette e lo feriscono al fianco e alla guancia, lo traggono all'Arsenale per la piazza del Palazzo Reale, dove da un lato gridavano le torme dei lazzari attorno ai carretti di robe saccheggiate alle case, dall'altro le musiche militari ripetevano furiose l'inno borbonico. Era l'ora che cadevano il La Vista, il Santilli e tanti generosi, dopo centinaia di Svizzeri e d'altri soldati; l'ora in cui si fucilavano nell'Arsenale non pochi prigionieri. Al Morelli che sanguinava ed a quelli condotti con lui per poco non toccò la stessa sorte.


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Volere e potere
di Michele Lessona
pagine 482

   





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