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Luigi Rossini. - Giovacchino Rossini.
Immensa solitudine!
Tutto intorno quanto può spingersi l'occhio, copre la sterminata pianura una veste di variopinte selvatiche erbacce, da cui si spiccano ronzando gli insetti, mentre vi stende sopra l'umore appiccaticcio argentino la chioccioletta: sotto, striscia la vipera, corre un breve tratto e di colpo si ferma il ramarro, e l'istrice drizza gli aculei. Un falco librato sulle ali spia la preda appiattata, mentre sale con diritto rapidissimo volo cantando la lodoletta. In lontananza, a mo' di macchiette sul paesaggio, qualche branco di pecore erranti, qualche bove che leva lentamente la testa dalle lunghissime corna, e giù sulle ondulazioni del terreno nell'ultimo orizzonte, in mezzo ai raggi infiammati del sole al tramonto, il profilo di un uomo a cavallo che impugna a mo' d'asta il lungo aguzzo bastone.
Splende la luna, e bagna della fredda sua luce le sparse rovine, le mura diroccate, le torri infrante, e ruderi di case, castella e vestigia di antichissime strade. Non manca che l'urlare interrotto, simultaneo assordante degli sciacalli, e quello strano ululato che manda notturna la iena, perchè il pensiero si riporti ai contorni desolati di Tauris e d'Ispahan.
Ma il pensiero rifacendosi al passato si rappresenta ben altra scena: riedifica sulle rovine le ampie e ben costrutte case, gremite d'uomini di cui ognuno levava con orgoglio la testa, dicendo: sono cittadino romano. Per l'ampia pianura sente l'eco mattutina delle trombe squillanti e il nitrir dei cavalli, vede la folla irrompente dalle porte incontro ai reduci vincitori, i saluti, gli abbracci, le feste, il movimento, il fremito, la vita potente dell'immensa città, cuore ed anima del mondo.
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