Principi, cortigiani e critici gli tormentavano la vita. Ma egli seppe volere.
A trent'anni avea compiuto il poema della Gerusalemme.
Allora fu vana l'ira degli uomini a suo danno. Potevano calunniarlo, potevano straziarlo, potevano imprigionarlo, potevano cacciarlo fra i mentecatti, potevano martoriarlo, potevano farlo morire, e tuttociò hanno fatto: ma l'uomo che ha bene operato non muore mai: l'opera resta, indefinitamente benefica, ammirata e feconda.
E vi sono ancora oggi taluni che hanno il coraggio di rimpiangere pei letterati e per gli artisti gli antichi mecenati, i principi protettori! Ma questi signori non hanno letto le vite dei nostri grandi uomini? Non sentono orrore al grido di Dante:
« . . . . quanto sa di saleLo pane altrui, e quanto è duro calle
Lo scendere e 'l salir per le altrui scale».
Non ricordano le satire dell'Ariosto dove con tanta penosa evidenza esprime il suo stato alla corte? Non ricordano che quello che si trovò di meglio da fare a pro di questo divinissimo poeta fu di mandarlo a giudicare i ladri della Garfagnana?
I tempi non furono mai tanto propizi come oggi ai lavori dell'ingegno; oggi si può ben dire a ragione, che l'uomo tanto può quanto sa; oggi la via davvero è aperta a tutti, ed ognuno può riuscire, purchè sappia fermamente volere e perseverare.
In Roma potrei trovare molti esempi d'uomini insigni che col volere e il perseverare seppero riuscire a cose grandi, taluni di essi superando gli ostacoli della povertà in cui son nati.
Non parlerò di Torlonia e del cardinale Antonelli, siccome troppo noti.
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