- E il giovane a lui, ravvivando l'espressione dello sdegno col rinforzare della voce: - Del vostro bene io punto non ho bisogno. - E partì. Ma poi, passatagli quella furia romagnola, cominciò a pensare fra sè medesimo ciò ch'avea fatto; e si pentiva vivamente della sua natura tanto sospettosa. E così tutto mesto e rannuvolato entrò al concorso, ma seppe bene uscirne ad onore, avendo sopra tutti gli altri suoi compagni ottenuto il premio in architettura con pienezza di voti, come l'ottenne in scultura l'amico suo Adamo Tadolini. Grandissima fu la contentezza di lui per questo premio, che gli permetteva di essere ammesso alla Accademia italiana in Roma, con pensione per quattro anni.
Ma questa sua allegrezza ben tosto si mutò in pianto; però che le fatiche durate nel concorso, le veglie, l'agitazione dell'animo, e qualche trascorso giovanile gli avevano rovinato la salute.
Si ammalò; e tanto si aggravò che fu creduto in fin di vita, e gli fu dato l'olio santo. Pur, aiutandolo l'età giovane e l'assistenza amorevole del suo egregio concittadino il dottore Gaiano, dopo alcuni mesi guarì. E subito partì verso Roma col Tadolini; dove giunti, furono tutti e due ricevuti all'Accademia Italiana nel palazzo di Venezia. I suoi desideri erano del tutto soddisfatti; ma ben presto, per la caduta del trono imperiale di Francia, mutate le cose, quella pensione gli mancò; se non che per opera del sommo ed ottimo Canova, fu poscia riconfermata. Non di meno furono quattro anni di disagi grandissimi, perchè, trovandosi in molta necessità, fu costretto a vendere la casetta paterna ch'aveva in Ravenna, nel vicolo di Sant'Elia, dirimpetto al convento che fu dei Carmelitani.
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