Questo disgraziato evento della Baccante sarebbe forse costato al povero Giovanni più grandi e più angosciosi tormenti, se poco dopo chiamato in fretta a modellare quattro cariatidi in gesso per il palco reale del teatro Rossini di Livorno non avesse in tempo brevissimo condotto a fine il lavoro così felicemente da meritare il plauso di tutti. Conserte al seno le braccia, mollemente piegata sul casto seno la faccia melanconica e pensosa, quelle quattro figure di fanciulle ritraevano mirabilmente il muto dolore, la debole speranza e la religiosa rassegnazione dello scultore, la cui fiducia nel proprio ingegno non trovava ormai altri argomenti di conforto e di coraggio che in quella fede purissima dalle amorose labbra materne passata nel cuore del figliuolo affettuoso.
Quelle quattro avventurate cariatidi sostennero in alto cosa assai più preziosa che non fosse il padiglione di un palco di teatro. Esse portarono forse, le care fanciulle, tutta la fortuna del Duprè, che riconfortato dalla lode, più sicuro del suo valore, lasciata alle bestie inferme la malaugurata stalla del palazzo Borghesi, si recò in una stanzuccia in faccia a San Simone, e volse l'animo a ritentare più seriamente la prova con una statua, modellata nel segreto di quelle quattro mura, di cui non potesse dirsi più tardi ch'ella fosse opera d'altri.
Ma le strettezze in cui pur tuttavia si dibatteva, costringendolo a lavorare in quel bugigattolo di studio, non gli consentivano nessun tentativo di statua in piedi. Il soffitto era tanto basso quanto alta era la mente dello scultore.
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