In questa razza di società, colla testa piena di progetti, con un patrimonio di volontà da fare onore a' più risoluti, e con un magro borsello, guarnito di poche lire toscane al mese, ultima espressione delle forze materne, Giuseppe Orosi mosse i primi passi verso la meta gloriosa cui lo spingeva incontro la più santa, la più nobile, la più generosa delle ambizioni.
Inscritto nella scuola universitaria dell'egregio professore Branchi, tra gli studenti di farmacia, si acconciò alla meglio come garzone nella spezieria arcivescovile pisana, la più povera, la più oscura, la più meschina, di tutte le spezierie della città.
Nei rari momenti che gli lasciavano liberi le occupazioni dello studio e le faccende dell'officina, il giovinetto volgeva i passi vagabondi e svogliati all'antico viale fuori la Porta alle Piaggie, e là, sulla sponda dell'Arno natìo, tutto solo co' suoi pensieri e co' suoi dolori, mangiava il povero e scarso pane guadagnato laboriosamente fra gli stenti e le fatiche d'una vita di rassegnazione e di lavoro continuo.
Poco a poco, menando i giorni travagliati in una alternativa straziante di speranze e di paure, di lusinghe e di scoraggiamenti, si ridusse a San Giuliano dei Bagni per alloggio presso certi parenti suoi, ed ogni mattina, mettendo piede innanzi piede, sotto la sferza cocente del sole, o sotto il peso d'una pioggia torrenziale, stanco, trafelato, sfinito, si trascinava in Pisa alla chimica del Branchi.
Nè questa vita di inaudite privazioni e di stenti durò poco.
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