Ma se il Panizzi colla fuga scampò dalle mani del duca di Modena, mercè le amorevoli cure di un suo parente che lo provvide di passaporto regolare, non potè sfuggire alle vessazioni della polizia austriaca. Da Modena pellegrinando in esilio verso la Svizzera, gli accadde di attraversare Cremona: e lì s'imbattè in un commissario di polizia, il quale, avuto sentore da una spia zelante e fidata che il Panizzi era un liberale, ordinò si procedesse con lui come si usava procedere con le persone sospette: ond'egli venne frugato, molestato, e fu sul punto di essere tratto in arresto. Non potendo però contestarsi la regolarità del suo passaporto, il Panizzi fu lasciato partire ma gli venne tolto il bagaglio in cui aveva tutti gli scritti; e di questo atto villano egli fa ricordo in una nota al libro già citato.
E poichè nè il Duca nè il commissario austriaco non giunsero ad agguantarlo per quella buona ventura che accompagnava il nostro giovane e ardente patriota nei suoi frettolosi passi verso la terra straniera ove doveva poi trovare onori ed agiatezze, l'ispettore ed esattore di Finanze a Reggio, saputo che il Panizzi erasi rifugiato in Svizzera, gli mandò alcuni mesi dono la notula delle spese processuali, invitandolo a sborsare al Regio Erario lire 255,25, ammontare della somma dovuta per il suo processo e per la sua impiccatura! E il Panizzi ormai giunto in salvo rispose a cotesta lettera con sì fina ironia mista a sì altera espressione di sdegno che bastò a far persuaso l'esattore di non ripetere la goffa e brutale richiesta.
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