Il Panizzi ebbe modo quindi con assoluta certezza di confermare tutto quello che aveva detto l'illustre statista inglese.
Lasciato il Museo Britannico, il Panizzi lasciò pure l'Inghilterra, e nell'estate dell'anno 1867 ritornò in Italia. Dopo avervi soggiornato alcuni mesi, e specialmente tenendo dimora a Firenze, in mezzo a molti amici che egli ha ovunque, ritornò a Londra con il proposito di trasferire stabilmente la sua dimora a Firenze; ma nell'inverno tra il 67 e 68 fu colto da grave malore che lo tenne lungo tempo infermo, sì che gli amici suoi trepidavano al riceverne le notizie. Pure alla fine la salute migliorò, ma non tanto da permettergli l'esecuzione del suo disegno.
Ora egli, consigliato dai medici, ha potuto non senza qualche disagio trasferirsi a Cannes, a godere quel mite e uniforme clima. I numerosi suoi amici, gli ammiratori delle sue alte qualità che tanto contribuirono a rendere onorato il nome italiano in terra straniera, gli desiderano quieti e felici gli ultimi anni di una vita spesa così nobilmente per gli studi e per la patria, e che noi proponiamo come modello alla nostra gioventù. Nell'esilio ignorato il Panizzi si fa strada col suo ingegno: all'apogeo della sua carriera, egli dalle persecuzioni patite trae vigore a consolare ed aiutare i nuovi esuli politici che venivano a lui. Gli onori non lo mutano nè di cuore nè di costumi; ed onori ne ebbe di molti, e non divulgati da lui, non amando far pompa di qualità esteriori come troppo spesso suol farsi da chi non sente aver meriti veri.
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