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      Ma al Verdi il dare lezioni venne presto a noia; la fatica che costa di far entrare qualche cosa di buono nella mente del prossimo, il dispetto di vedere, quando si pensa che gli alunni abbiano bene appreso ciò che si è tanto ripetutamente spiegato, che al contrario non hanno ritenuto nulla, la svogliatezza dei più, l'impazienza, la cocciutaggine di molti, la sazietà di quel continuo rifriggere le stesse cose, la stanchezza senza conforto, il dispendio gravissimo del tempo, a lui che scorgeva tanto ardua la meta, che sentiva tanto ardore per lo studio, che bolliva dentro dalla voglia di produrre alcunchè di originale, fecero sì che quello sgobbo delle lezioni gli riuscisse a poco andare un supplizio. Non ostante vi si accomodò con quella forza d'animo che gli faceva vincere ogni battaglia, e a Busseto, come a Milano, riuscì a far molte e varie cose, tenendo conto di ogni istante, e seguitando quel volgare dettato, che lavoro buono è lavoro del tempo. Mentre faceva puntualmente il suo debito, sebbene quella occupazione non gli tornasse, continuava di lena lo studio del contrappunto e la lettura dei classici, e metteva insieme un'opera, la quale in capo a tre anni dal suo ritorno in Busseto aveva recato a fine; e, vivendo com'era uso parcamente, aveva potuto metter in serbo dal suo magro stipendio un migliaio di lire.
      Con questi risparmi pensò di recarsi un'altra volta a Milano in traccia d'un impresario che gli facesse rappresentare la sua opera.
      Ciò avveniva in sul principio del 1839.


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Volere e potere
di Michele Lessona
pagine 482

   





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