Tutto ciò accadeva dal principio d'aprile al 22 di giugno di quello stesso anno 1840, in cui per l'autunno doveva aver scritto un'opera buffa.
Chi legge un volume, chi contempla un quadro, chi ascolta una musica, non sa a quali terribili strette può essersi trovato il cuore e la mente dell'artista che fatica e crea.
Il Verdi si trovava repentinamente immerso nella sventura, straziato dal dolore, privo d'ogni cosa più caramente diletta nel mondo, trafitto nell'intime viscere, e doveva scrivere un'opera buffa! E non c'era tempo da perdere! L'opera doveva esser rappresentata nell'autunno. Scrisse col cuore lacerato da spasimi atroci, ma scrisse, siccome era suo debito; e mandò in tempo il lavoro.
Il pubblico ignaro delle lagrime in mezzo alle quali erano nati quel canti, andò al teatro per sentire un'opera buona intitolata Un giorno di regno, per divertirsi, per ridere, e deliberato a fischiare sonoramente quel signor maestro che non fosse stato abbastanza gaio e piacevole.
Il pubblico era nel suo pieno diritto.
Andò, ascoltò, non si divertì, fischiò, e ritornò a casa colla contentezza di chi ha fatto giustizia.
Il giorno appresso il Verdi andò dal Merelli e volle sciolto il contratto. L'impresario rispose: - Sia pure: ma ogni volta che tu volessi scrivere agli stessi patti, io sarò sempre pronto. - Dall'opera ceduta il maestro aveva ritratto 4000 svanziche. Certi biografi hanno scritto, che a questo punto egli sentendo necessità di nuovi studi prima di ritentare la prova, si sequestrò dal mondo per darsi a suo bell'agio a studiare, e che frutto di questi studi fu il grande progresso che si notò nell'opera seguente.
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