Assiduo alle scuole, infaticabile al lavoro, Vincenzo divenne in brev'ora uno dei migliori discepoli del Cacciatori. Presto passò dalle semplici modanature all'ornato, dall'ornato alla figura, modellò in rilievo, e spesso ottenne i premi della scuola.
Studiava il giorno; e la notte, per aiutare il fratello, modellava per lui sulla cera candelabri, lampade, croci per uso di chiesa e per conto degli orefici di Milano.
Il suo maestro, Cacciatori, apparteneva alla vecchia scuola dell'arte, in quei tempi in cui le idee nuove germogliavano in tutti i cervelli e la critica rompeva una lancia per incamminare la scultura sulla via di progresso cui Hayez, Arienti, Bellosio avevano spinto la pittura. Le nuove idee infiammavano il Vela di irresistibile ardore, finchè, veduta la Fiducia in Dio di Bartolini, quella cara statuetta fissò i suoi vaghi desideri e le sue confuse aspirazioni, e drizzò l'ala dell'ingegno a meta più certa e più sicura.
Giusto in quel periodo Venezia aprì un concorso di scultura, e Vincenzo deliberò di concorrere con un bassorilievo rappresentante il Cristo che resuscita la figlia di Jair.
Il lavoro del nostro Vincenzo rivelava in lui un'artista vero, e destinato a grande avvenire. Il bassorilievo fu premiato, e il Vela, appena sui diciannove anni, ebbe una medaglia d'oro di sessanta zecchini (720 lire circa) che andarono, ohimè, divorati dal bisogno della sua povera casa.
Frattanto la città di Lugano volendo collocare quattro statue d'uomini illustri nelle nicchie che decoravano i portici del nuovo palazzo governativo, ne affidò una a Vincenzo, e fu quella di monsignor Luini di Lugano, Vescovo di Pesaro.
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