La statua, in pietra, era pagata 650 lire appena, blocco e lavoro compresi, ma il nostro Vincenzo fece opera sì lodata, così bella nella sua semplicità, così espressiva nel volto, così morbida nel panneggiamento, che da quel giorno gli artisti più famosi lo chiamarono fratello, e concepirono su lui le più belle speranze.
Tratto dalla fama del giovane artista, e dagli elogi che Hayez faceva dell'opera sua, il conte Giulio Litta gli diè commissione di fare una statua in marmo e Vincenzo scolpì la Preghiera, cara e delicata figura di fanciulla, leggermente coperta da un velo finissimo che tradiva le pudiche forme del corpo, e rivelava la fine maestria del sapiente scalpello.
Milano sentì svegliarsi per l'opera del Vela tutto l'entusiasmo artistico di cui è capace quella generosa città. Lo studio del nostro Vincenzo fu invaso da una folla di ammiratori, i crocchi, i circoli, le conversazioni risuonarono del nome del povero scalpellino di Ligornetto.
Alla sua gloria nascente non fece difetto la consacrazione dell'invidia. Gli accademici, i classici della scultura, sussurrarono che il Vela, incapace di scolpire il nudo, era stato prudentemente pudico cuoprendo con un velo il corpo della sua statuetta.
Punto da questa critica insipiente ed ingiusta, il Vela che visitava allora la città di Roma, concepì il nudo dello Spartaco. Il modello fu terminato in pochi mesi, e già si accingeva a riprodurre in marmo l'opera sua, lodata dal Tenerani che aveva veduto e ammirato quel gesso quando a un tratto la guerra del Sunderbund, scoppiata in quell'anno, gli rammentò i suoi doveri come figlio della libera Elvezia, e gettato lo scarpello, e impugnato il fucile, corse ad arruolarsi nella compagnia dei Carabinieri di Lugano.
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