Nè già tal guerra in lor soli finisce.
Chè tutta Europa, mercè il gran Colombo,
Or si dà in capo pel real tabacco,
Or per l'acciughe, ed or pel tonno o il rombo:
Ma in cotai sudiciumi omai mi stracco.
Io tronco il nodo, e dico in un sol mottoChe il commercio è mestiero da vigliacco;
Ch'ogni virtude, ogni bontà tien sotto;
Ch'ei fa insolenti i pessimi; e i legamiTutti fra l'uom più sacrosanti ha rotto.
Nei mercanteschi cuor, veri letami,
Non v'ha nè Dio, nè onore, nè parentiChe bastin contro le ingordige infami».
Il fiero conte aveva il merito di essere molto schietto nel suo parlare, e questi versi esprimono così chiaramente il suo concetto, che nulla riuscirebbe meglio. Quel gran Colombo, detto per ironia, vale un tesoro.
Il conte Alfieri non voleva commercio, voleva invece:
«Religion e leggi e aratro ed armi»,
e non avrebbe veduto troppo di mal occhio la totale abolizione d'ogni traffico.
«Quand'anche or dunque differenza espressaIl non-commercio faccia in men borghesi,
Non fia poi cosa, che un gran danno intessa.
Liguria avria men muli e Genovesi;
Sarian men gli Olandesi e più i ranocchiNei ben nomati in ver Bassi Paesi:
Ma che perciò? Vi perdemmo gli occhiNel pianger noi lo scarso di tal razza,
Che decimata avviene che ancor trabocchi?».
Un altro conte, il Leopardi, nella sua terribile calma, è anche più feroce contro il commercio che non il conte Alfieri colle sue apostrofi più violente.
Sentite
«Havvi, cosa strana, un disprezzo della morte e un coraggio più abbietto e più disprezzabile che la paura; ed è quello dei negozianti ed altri uomini dediti a far denari, che spessissime volte, per guadagni anche minimi, e per sordidi risparmi, ostinatamente ricusano cautele e provvidenze necessarie alla loro conservazione, e si mettono a pericoli estremi, dove non di rado, eroi vili, periscono con morte vituperata».
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