Appena sul confine tra la fanciullezza e la adolescenza, ammirato, adulato, aperta e facile la sorgente di grossi guadagni egli sentì che non sarebbe riuscito a nulla di concludente se non avesse dato opera a forti studi, e riuscì agevolmente a persuadere della stessa cosa i suoi genitori.
Si prese un ottimo maestro di contrappunto, il Serra, e studiò per undici anni consecutivi senza distrazioni, senza tregua, senza riposo, con tutte le sue forze.
Dopo questi undici anni così bene spesi, nel 1839 in Firenze Sivori tornò a presentarsi al pubblico iniziando la nuova carriera che doveva essergli tanto luminosa, e in cui segna anche oggi i giganteschi suoi passi.
Ben inteso, parlo di passi giganteschi in senso figurato, perchè i passi che fa il Sivori, camminando, sono poco più lunghi di un palmo, e la sua statura è tale che non so se arrivi alla cintura del professore Vallauri.
Era impossibile sentire Sivori, e non pensare a Paganini; quindi una infinità di confronti pro e contro, una infinità di questioni cui pose termine così magistralmente Felice Romani, che io non mi so trattenere dal riferire qui le sue belle parole
«Non si può parlare, nè udir parlare, di un uomo eccellente in qualche arte, che il pensiero non ricorra tosto ad altro uomo eccellente nell'arte medesima, e non sia tenuto di fare un confronto fra quello e questo, quand'anche non si vegga in entrambi quella tal quale affinità di condizioni che agevoli il confronto, o più o meno lo giustifichi. Come ciò avvenga io non so, ma fu sempre così; e così è nel momento medesimo ch'io prendo la penna per dar conto dei concerti di Camillo Sivori, e d'ogni parte mi viene all'orecchio un qualche paragone, o vecchio, o recente, di quest'uomo singolare con Niccolò Paganini, singolare al pari.
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