Ma, chiedo io, fra questi due sommi si può istituire un adeguato confronto? dov'è la canna su cui si misurano gl'ingegni, e la bilancia sulla quale si pesano? Il Genio non istampa egli negli uomini privilegiati una impronta speciale che sfugge ad ogni acume, e li diversifica gli uni dagli altri quando più sembra che si rassomigliano? Paganini e Sivori ambedue sommi artisti, portarono il violino ad un grado di eccellenza che forse è impossibile superare; ambedue vincitori sulle sue corde di qualunque difficoltà, e trovatori di suoni non mai prima sentiti: ambedue padroni nell'arte ed esecutori maravigliosi: ambedue pieni di anima, di passione, di forza, da trarsi dietro, direbbero i mitologi, ammansate e innamorate le fiere. Ma pure non vi ha in essi alcunchè di arcano e d'indefinibile, per cui questo, a chi ben guarda, si distingue dall'altro?
«Eccovi Paganini. Ei si presenta quale ispirato, e dall'ampia fronte, dagli occhi scintillanti, dallo scarno e pallido volto traspare il Dio che dentro lo infiamma. Egli impugna con una mano il violino, scuote con l'altra l'archetto che lo deve dominare, come il domatore del leone scuote la ferrea verga che lo impaura. Al primo tocco delle lunghe e nodose sue dita geme il violino, quasi abbia il presentimento della potenza che sta per affaticarlo freme al secondo, e plora, e si lagna come il dormiente interrogato dal magnetizzatore: al terzo segue l'impulso della volontà che lo sforza, e prorompe in voci prolungate e sonore. Il taumaturgo s'inchina sovr'esso, squassando gli ondeggianti capelli, e lo cova, per così dire, col guardo; le più interne fibre del cavo legno si scuotono, oscillano, e cedono al fascino irresistibile: gli astanti in lui mirano silenziosi ed attoniti, e pendono senza batter palpebra dal torrente d'armonie che da lui si riversa.
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