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      Che anzi, la vita del campo, le lotte sanguinose, la necessità di uccidere per non essere ucciso in quelle scaramuccie senza quartiere, ripugnavano a quella natura pacifica e affettuosa.
      Chi non conosce Garibaldi può crederlo di cuore inflessibile e duro. Chi scrive queste pagine, può far fede del contrario. Il generale non avrebbe cuore di far male ad una mosca, e, all'infuori delle necessità della guerra, l'idea di togliere la vita a un essere che Dio ha posto pe' suoi fini nel mondo, è un'idea insopportabile per lui.
      Chi immaginerebbe mai che Garibaldi, avvezzo a guardare con occhio sereno le centinaia de' morti sui campi di battaglia, non possa senza commuoversi raccontare come, per provvedere al vitto quotidiano nelle lande d'America, egli fosse talvolta obbligato a gettare il lasso a una delle vacche selvaggie liberamente vaganti per quegli erbosi deserti, e cibarsene dopo di averne arrostito un pezzo di carne fra gli ardenti carboni, e ad abbandonarne il cadavere, intorno a cui si raccoglievano subito le altre vacche, mugghiando in suono lamentoso?
      Non è possibile ridir con parole la gentile melanconia con cui Garibaldi ripete questi episodi della sua vita, nè descrivere il suono della sua voce quando imita i boati delle vacche sul cadavere della sgozzata compagna.
      Quante e quali fossero le gesta di lui nelle guerre d'America, diranno i biografi e raccontò la fama.
      A Rio Grande, con pochi e piccoli legni sosteneva in mare una lotta eroica, e in terra, assalito in una cascina da centoventi uomini, mentre egli non aveva con sè che undici armati, costringeva il nemico a ritirarsi con gravi perdite.


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Volere e potere
di Michele Lessona
pagine 482

   





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