- E lo battezzò invece per Michele, scrivendo questo nome sui registri.
Quando, venti anni dopo, venuta pel figlio la leva, il padre s'accorse di questo errore, non se ne meravigliò molto. - Quel brav'uomo, disse, ripensando al parroco, la sera non era mai sicuro del fatto suo.
Le rimembranze dell'infanzia del Moncalvo gli ricordano un fatto doloroso: le lunghe sere dell'inverno nelle stalle, ed un poco anche tutto il resto dell'anno e in tutte le ore del giorno, sentiva raccontare storie spaventose di streghe e di folletti, di diavoli fiammeggianti con corna e coda ed occhi di bragia che se ne venivano in questo mondo a portarsene infilzati su forche roventi i peccatori all'inferno. Queste storie gli avevano messo nell'animo tanto terrore, che non osava più andar solo, la notte si vedeva demoni e dannati sul capo, e faceva un balzo ad ogni improvviso rumore. A ciò egli riferisce un non so che di timido e d'imbarazzante, che più o meno gli è rimasto poi sempre. Non che veramente desse fede a quelle istorie; non ci credeva, ed anzi per questo il padre lo chiamava l'incredulo: ma ne rimaneva terribilmente colpito.
A scuola soleva essere assiduo ed applicato, segnalandosi sopratutto per memoria facile, cosicchè in breve, facendo ripetutamente in un anno solo ciò che gli altri facevano in due, arrivò a compiere in età di dodici anni la umanità, che era tutto quello che allora di più alto si insegnasse a Moncalvo.
Il maestro, che aveva posto molto affetto al fanciullo, consigliò il padre di farlo proseguire negli studi, mettendolo in un convento di frati; il consiglio non piacque molto al padre e meno ancora al figliuolo, e si pensò ad un mestiere.
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Michele Moncalvo Moncalvo
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