Fu messo nella bottega da falegname d'un tal Giacomo Baiardo, abile maestro, ove si diede con tanta applicazione al lavoro, che due anni dopo aveva imparato tutto quello che Baiardo gli poteva insegnare, il maestro era tutto orgoglioso del giovinetto operaio.
E qui, diciamo, che quando più tardi il Moncalvo si trovò a Torino capo di una fiorente officina, fece venire il Baiardo, e lo volle tenere poi sempre con sè.
In età di sedici anni, operosissimo, timido, affezionatissimo ai suoi genitori, sentiva nell'animo qualche cosa d'ignoto che lo tormentava, e che alla fine, esaminandosi bene, riconobbe essere desiderio di veder nuove terre e nuove genti, e trovarsi dove lavorassero maestri da cui potesse imparare maggiormente e perfezionarsi nella sua arte. Pensò a Torino, che coi mezzi di comunicazione di allora era città assai lontana. Aperse l'animo suo ai genitori, e dopo molto contrasto, segnatamente dalla amorosissima madre, ottenne il consenso al suo desiderio.
Una grande città a chi, uscito per la prima volta di casa sua, v'arriva nuovo senza conoscervi nessuno, è una solitudine tremenda. Moncalvo provò, appena giunto a Torino, una stretta al cuore così crudele che non si resse, e dopo tre giorni tornò a casa.
Pensò allora ad andare in cerca di lavoro in Asti, siccome luogo meno discosto, e dove a sua voglia da un istante all'altro avrebbe sempre potuto tornarsene a casa.
In Asti trovò lavoro da un bravo falegname, chiamato Martinelli, il quale in breve, vedendolo così ingegnoso e buono, gli pose tanto affetto come se fosse stato suo figlio.
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