Il Viansone non ne capiva nulla, ma chiamò Moncalvo; e questi, esaminati diligentemente i disegni, disse che li comprendeva benissimo, e si sentiva di eseguirli a dovere, a condizione che gli avessero dato la piena direzione di tutto e potestà assoluta sugli operai.
L'architetto Bonsignore sorrise quando gli presentarono il Moncalvo, giovanetto imberbe di appena venti anni, siccome quello che domandava di dirigere provetti operai che dovevano compiere quei lavori; e per finirla, subito gli dette per prova un lavoro molto difficile: ma la prova riuscì a meraviglia, e la diffidenza dell'architetto si mutò in fiducia, e più tardi in affetto.
I lavori si compirono ottimamente; ma il Viansone fu indispettito della parte a parer suo troppo importante che il Moncalvo aveva compiuta, e nacquero gelosie e dissensi fra il padrone della bottega ed il giovine operaio, che condussero alla fine questo a separarsi dal suo principale.
Il Moncalvo aveva fatta buona prova delle sue forze, ed allora appunto aveva avuto la fortuna di esser liberato dalla leva colla estrazione di un buon numero eseguita al suo nativo paesello dalle mani del padre suo, che si presentò all'appello in sua vece. Sapeva di potersi ormai guadagnare in qualsiasi paese la vita, ed aveva grande desiderio di veder nuove genti, opificii più grandi e lavori più belli: vagheggiò il progetto di andarsene in Francia, e l'avrebbe forse posto ad effetto, se non fosse stato distolto dai suoi ospiti che avevano su lui altre viste.
Egli dimorava in casa di un certo Facta, pur esso falegname, ammogliato, che insieme coll'alloggio gli dava il vitto.
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