Si trovava ancora in quel periodo della vita in cui l'uomo, di solito, istruisce sè stesso, anzichè ammaestrare gli altri. Adempiendo con grande alacrità questa parte dell'obbligo suo, il giovane professore imparò da sè il greco, il tedesco, le matematiche sublimi, e progredì nelle scienze naturali più che non sogliano coloro a cui difetta il sussidio de' mezzi scientifici. Ad apprezzare quanto valesse l'istruzione che egli diede a sè stesso, basti il detto di quell'uomo insigne che fu Carlo Ignazio Giulio, alla cui perspicacia non fece mai velo una soverchia indulgenza: «Pochi hanno imparato tanto quanto Rayneri, e pochi sanno così bene tutte le cose imparate». Indi avvenne che, presso i professori del nostro Ateneo, l'insegnamento elementare di matematica e di fisica, che dava il Rayneri, non fosse tenuto da meno che quello dei più provetti e valenti in quelle discipline. Ma le matematiche e la fisica non furono per esso che studi accessorii, giacchè l'acume del suo ingegno si era rivolto principalmente alle dottrine filosofiche e morali, il cui insegnamento era reso più difficile dalle condizioni scientifiche de' tempi, in cui egli ne dettò i precetti dalla cattedra.
Procedeva così, felicemente, l'insegnamento che egli dava in Carmagnola, quando nell'anno 1844 Ferrante Aporti, sapiente e venerato fondatore delle scuole infantili italiane, comparve fra noi (chiamato dal re Carlo Alberto) come l'apostolo che stimolò all'onorata impresa; e che con senno pratico, anzichè con grandi apparati di dottrina teorica venne divulgando i metodi da tenersi alfine di migliorare le scuole già aperte, e di avviar bene quelle che dovevano aprirsi in beneficio del nostro popolo.
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