Egli aveva in mente progetti commerciali tanto ragionevoli quanto grandiosi: voleva lavorare in traffici con ottimo intendimento tra Cairo e Kartum, e forse si sarebbe fatto ricco, salvo ad essere poi spogliato di tutto dal governo egiziano.
Ma nuovi fatti vennero a mutare i suoi propositi, e cominciò la nuova vita.
Scoppiò il 1848 la guerra, ed egli, Italiano di sentimenti e di affetti, volle venire a combattere le patrie battaglie.
S'imbarcò per Livorno, poi per Genova, e corse ad arruolarsi nei Bersaglieri.
Si mostrò nelle battaglie un leone; la sua faccia nera serviva di punto di rannodamento ai coraggiosi compagni, e di terrore al nemico: parecchie volte dopo un combattimento i suoi capi corsero ad abbracciarlo.
In pace era un modello di disciplina e di operosità, amor dei capi e dei compagni.
Quando entrò soldato non sapeva leggere; pigliava di soppiatto la chiave della scuola del reggimento per andarsi ad esercitare sulla lavagna nelle ore del riposo.
Imparò a leggere ed a scrivere con ottima calligrafia; imparò l'aritmetica, la geometria, il francese. La lettera che ho riferita sopra è tutta tale e quale egli stesso l'ha scritta.
Egli ama svisceratamente tutti quelli che gli hanno mostrato benevolenza; parla del Bussa, ora morto, con affetto filiale; e quando la faticosa sua vita gli concede qualche giorno di tregua, corre ad abbracciare il suo secondo padre, il dottore Castagnone, che piange di gioia al vederlo, e, privo di figli, è al degno capitano tenerissimo padre.
Io ho compiuto il mio lavoro: ho cominciato colla vita di un principe di Sicilia e finisco con un nero d'Africa: due uomini degni di stare vicini, perchè la virtù sopprime le distanze e adegua ogni disuguaglianza.
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