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      L'eruditissimo Andres, il quale però è grande ammirator del Parini, nella sua storia d'ogni letteratura, è di parere che l'ironia portata dal nostro Poeta tropp'oltre possa alle volte pregiudicare alquanto alla buona moralità. Ma chi è colui che non sia e dalle cose istesse e dal modo, con cui sono esposte, costretto a ravvisar l'ironia che felicemente incomincia, più felicemente prosiegue, e sempre ben sostenuta corre al suo termine? E non t'accorgi, sclamano altri, della fatica, dello stento, della mancanza di vena di Parini? Nò, non era Egli spirato da quel Dio che agita ed infiamma i Poeti; le sue idee non isgorgano facili, ma a forza sono fuori strascinate dalla mente. È una ingiustizia il voler che un uomo porti sugli omeri un pondo enorme senza tendere tutt'i nervi, bagnar di molle sudore la fronte, mostrare in una parola la fatica che sostiene. Degno di rimprovero sarebbe Parini, se scritti avesse i suoi Poemetti con quella ingenua e talvolta negligente facilità, che tanto ci diletta in altri componimenti; arduo era il soggetto da Lui trascelto, e doveva per coronarsi della Delfica fronda mostrare qual felice ed avventuroso successo avessero i suoi sforzi per toccare l'erta e lontana meta, cui tendeva. In Parini bisogna come in Virgilio ammirare un artefice di squisito gusto, di fino criterio che unisce alla natura, che senza l'arte sarebbe cieca e temeraria, l'arte istessa, ma fa campeggiar questa piuttosto che quella. Quanto al contrario è facile Parini in alcune sue Odi, nelle quali o tutta versa l'infiammata sua anima, o si trattiene su oggetti lieti e ridenti?


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Elogio di Giuseppe Parini recitato nel giorno 16 novembre 1813 in occasione dell'aprimento delle scuole del Liceo di Milano in Porta Nuova
di Ambrogio Levati
1813 pagine 38

   





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