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      L'ingegno de' nostri sublime nelle altre parti della Poesia, in questa sembrava non poter sorgere da un'umile condizione. Quand'ecco s'innalzò fra noi un ingegno inventore, il quale sdegnando che mancasse questa corona all'Italia, senza imitazione, ma con la forza di se stesso ritrovò condotta, dialogo, catastrofe e stile. Creò l'arte dal nulla, e la lasciò compiuta. Lancio felice e maraviglioso della mente di tanto uomo il sottrarre la tragedia nostra a quella umiltà, in cui giacea priva di veemenza nelle passioni, senza la ripercussione del dialogo, senza la grandezza dello stile, ristretta a contraffare i Greci, inferiore a tutt'i moderni maestri, esaltarla emula di tutte coll'inaudito ardimento di comporla di soli protagonisti! Come però il Tasso inventore del Poema Eroico fra noi sofferse i molesti vagiti della mediocrità, così non fu riconosciuta la magniloquenza dell'immortale Alfieri, se non pagando il tributo rigoroso alle cavillazioni grammaticali. Ma chi penetrava nell'artifizio di quello stile, scorgeva in esso rapite ai nostri antichi ed oramai sconosciuti scrittori le voci, le frasi più scelte e più illustri atte a sentenze gravi e concise. Sendo però male disposti gli animi per un'inveterata depravazione del Teatro nostro, apparvero ritrosi a questa novità, finchè prevalse il buon genio de' migliori in giudicarla gloriosa, quanto felice. Che se alcuno ritrovasse nel vigore di Alfieri qualche scabrosità, consideri non andarne mai esenti i sublimi inventori. Così la ebbe lo scalpello Egizio, e poi lo stile di Dante, e poi quello di Pier Cornelio detto il grande, come nuovo esemplare di alta favella alla sua nazione.


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Elogio di Giuseppe Parini recitato nel giorno 16 novembre 1813 in occasione dell'aprimento delle scuole del Liceo di Milano in Porta Nuova
di Ambrogio Levati
1813 pagine 38

   





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