Un uom, che al mondo acquistasi gran famaNel far de' ceffautti(449) pe' boccali:
E con gl'industri e dotti suoi pennelliSuo nome eterno fa negli sgabelli(450).
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Si trova in basso stato, anzi meschino;
Ma benchè il furbo ne maneggi pochi,
Giuocherebbe in su' pettini da lino,
Chè un'ora non può viver ch'ei non giuochi.
Ma s'ei vincesse un dì pur un quattrino,
In vero si potrebbon fare i fuochi;
Perchè, giuocando sempre giorno e notte,
Farebbe a perder colle tasche rotte.
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Giuocossi un suo fratel già la sua parte,
Suo padre fu del giuco anch'egli amico;
Però natura qui n'incaca(451) l'arte,
Avendo ereditato il genio antico.
Costui teneva in man prima le carte,
Che legato gli fosse anche il bellico;
E pria che mamma, babbo, pappa e poppe,
Chiamò spade, baston, danari e coppe(452).
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Ma perchè voi sappiate il personaggioChe ciò(453) racconta, è il Franco Vicerosa(454),
Cavaliero, del qual non è il più saggio,
Scrittor sublime in verso quanto in prosa;
Dipinge, nè può farsi da vantaggio,
Generalmente in qualsivoglia cosa;
Vince nel canto i musici più rari,
E nel portare occhiali non ha pari.
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È suo amico, ed è pur seco adesso,
Salvo Rosata(455), un uom della sua tacca;
Perocchè anch'ei si abbevera in Permesso,
E pittor, passa chiunque tele imbiacca;
Tratta d'ogni scienza ut ex professo,
E in palco fa sì ben Coviel Patacca(456),
Che, sempre ch'ei si muove o ch'ei favella,
Fa proprio sgangherarti le mascella.
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Or perchè Franco ed egli ogni manieraProccuran sempre di piacere altrui,
Di Perlone dan conto, e dove egli era
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