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      Mille grazie, le lascio, e dolla a gambe.
     
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      Ripongo la nocciuòla e la castagna,
      E rimetto le gambe in sul lavoroPer una lunga e sterile campagna
      Disabitata più che lo Smannoro(496).
      Dopo cinqu'anni giunta a una montagna,
      Mi si fe' innanzi un grande e orribil toro,
      Che ha le corna e i piè tutti d'acciaio,
      E tira, che correbbe nel danaio.
     
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      E come cavalier che al saracinoCorre per carnovale o altra festa,
      Verso di me ne viene a capo chino,
      Colla sua lancia biforcata in testa.
      Io già colle budella in un catinoAddio, dicevo al mondo, addio chi resta;
      Addio Cupído, dove tu ti sia,
      A rivederci(497) ormai in pellicceria.
     
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      O mamma mia, che pena e che spaventoEbbe allor questa mezza donnicciuola!
      Tremavo giusto come un giunco al vento;
      Chè quivi mi trovavo inerme e sola.
      Pur, come volle il cielo, io mi rammentoDel dono delle Fate; e la nocciuòla
      Presa per caso, presto sur un sassoLa scaglio; ella si rompe, e n'esce un masso.
     
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      Tal pietra per di fuori è calamita,
      E ripiena di fuoco artifiziato.
      Ormai arriva il toro, ed alla vitaCon un lancio mi ven tutto infuriato:
      Ma perchè dietro al masso ero fuggita,
      Il ribaldo riman quivi scaciato(498);
      Chè in esso dando la ferrata testa,
      In quella calamita affisso resta.
     
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      Sfavilla il masso al batter dell'acciaro,
      E dà fuoco al rigiro(499) ch'è nascosto;
      Ed egli, a' razzi ch'allor ne scapparo,
      Un colpo fatto aver vede a suo costo,
      Perchè non vi fu scampo nè riparoCh'ei tra le fiamme non si muoia arrosto.
      Ed io, scansato il fuoco e ogni altro affronto,
      Lieta mi parto e tiro innanzi il conto(500).


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Il Malmantile riacquistato
di Lorenzo Lippi (Perlone Zipoli)
Barbera Editore Firenze
1861 pagine 283

   





Smannoro Cupído