(Quasi gli presti roba) un capitale;
Anzi talor, per poco che gli dài,
Ti rende più sei volte che non vale.
Ma non si dee ciò pretender mai,
Perch'ell'è cosa che starebbe male;
Questo è un censo, il quale a chi lo prendeRichieder non si può, s'ei non lo rende.
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Guarda s'ell'è così: io, per la miaPietà di prender di quei topi cura,
Da lor vinta restai di cortesiaE n'ebbi la pariglia coll'usura;
Perocchè in questa zezza ricadía(505),
Ch'io ho d'aver trovata clausura,
Eglino tutti sul cancel saliroE si fermaro, ove è la toppa, in giro.
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E gli denti appiccando a quel legnameCome se 'n bocca avessero un trapáno,
Presto presto vi fecero un forame,
Da porre il fiasco(506) e vendere il trebbiano;
Talchè, in terra cascando ogni serrame,
Spalanco l'uscio di mia propria manoE passo dentro, e resto pur confusa,
Perch'ancor quivi è un'altra porta chiusa.
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Ma parve giusto come bere un uovoA' topi farvi il consueto foro.
E dopo questa a un'altra, e poi di nuovoInfino a sette fanno quel lavoro;
Quando fra verdi mirti mi ritrovo,
Che fan corona a una cassa d'oro,
Ch'è a piè d'un tempio ch'è dipinto a graffio(507),
E a prima faccia tien quest'epitaffio:
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Cupído Amor, che tanti ha sbolzonato,
Bersaglio qui si giace della morte:
Ei, ch'era fuoco, il naso ora ha gelato,
Se i cuor legò, prigione è in queste porte.
Hallo trafitto, morto e sotterratoQuella cicala della sua consorte;
Nè sorgerà, se pria colma di piantoNon sarà l'urna che gli è qui da canto.
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Non ti vo' dire adesso, se in quel casoMi diventaron gli occhi due fontane,
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Amor
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