E lagrime diluvia sopra il viso,
Grosse come sonagli(583) da sparvieri,
Che lavandole il collo lordo e intriso,
Laghi formano in sen di pozzi neri(584);
Al fin tornata in sè, colla gonnellaS'asciuga, e al messagger così favella:
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Torna, e rispondi a questo scalzagatto,
Che si crede ingoiar colle parole,
Ch'io non so quel ch'ei dice; e s'egli è matto,
Non ci posso far altro, e me ne duole.
Poi, circa alla domanda ch'egli ha fatto:
Che gli darò Cupído, e ciò ch'e' vuole,
Se colla spada in mano ovver coll'astaPrima di guadagnarlo il cor gli basta.
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Però, se in questo mentre umor non varia,
Domani al far del dì facciami motto;
E s'io gli farò dar le gambe all'aria,
Quella sua landra(585) ha da pagar lo scotto(586);
Ma se la sorte, forse a me contraria,
Vuol ch'a me tocchi andar col capo rotto,
Prenda Cupído allor, ch'io gli promettoLasciarglielo segnato(587) e benedetto.
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Ciò detto, parte: e quei, ch'era uomo esperto
(Essendo stato cavallaro, e messo),
Al cavaliere ad unguem fa il refertoDi quel che Martinazza gli ha commesso.
Ed in viso vedendolo scoperto,
Quest'ha bisogno, dice, d'un buon lesso(588);
Perch'egli è duro, e non punto pupillo(589):
Lo conosco bensì, gli è Calagrillo.
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Ma qui la dama e Calagrillo resti;
Quest'altro giorno rivedremgli poi.
Il passo meco ora ciascuno apprestiPer giungere il Fendesi e gli altri duoi,
Che seguitaron, come voi intendesti,
Perlon che se n'andò pe' fatti suoi;
Chè troveremgli, se venir volete,
Più presto assai di quel che vi credete.
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Chè giò giò(590) se ne vanno giù nel piano
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Cupído Cupído Essendo Martinazza Calagrillo Calagrillo Fendesi
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