Sbattuti, com'io dissi, dalla fame:
Ma non son iti ancora un trar di mano,
Che senton razzolar tra certo strame;
Perciò coll'armi subito alla manoCorron dicendo: qui c'è del bestiame;
Sicchè quando crediamo di trar minze(591),
Il corpo forse caverem di grinze.
59
Curiosi quel che fosse di vedereDentr'a una stalla inabitata entraro.
E vedder, ch'era un uom posto a giacereSopr'alla paglia a guisa di somaro;
Accanto aveva da mangiare e bere,
E gli occhi distillava in pianto amaro;
E tra i disgusti e il vin, ch'era squisito,
Pareva in viso un gambero arrostito.
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Questo è quel Piaccianteo già sublimatoAl grado onoratissimo di spia:
Quel che, per soddisfar tanto al palato,
Ha fatto in quattro dì Fillide mia(592);
E lì colla sua spada s'è impiattato,
Dell'onor della quale ha gelosia;
Chè avendola fanciulla(593) mantenuta,
Non gli par ben che ignuda sia tenuta.
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Ma perchè un uom più vil mai fe natura,
Si pente esser entrato in tal capanna;
Perocchè a starvi solo egli ha paura,
Che non lo porti via la Trentancanna(594):
E perchè tutto il giorno quant'e' dura,
Egli ha il mal della lupa che lo scanna,
Non va mai fuor, s'a cintola non portaL'asciolver(595) col suo fiasco nella sporta.
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Ovunque egli è, d'untumi fa un bagordo,
Ch'ognor la gola gli fa lappe lappe;
Strega(596) le botti, di lor sangue ingordo,
E le sustanze(597) usurpa delle pappe;
Aggira il beccafico, e pela il tordo,
E a' poveri cappon ruba le cappe(598);
E prega il ciel che faccia che gli agnelliQuanti le melagrane abbian granelli.
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Vedendo quivi comparir repente
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Piaccianteo Fillide Trentancanna
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