Bench'io stia bene, sia ripieno e sventri(781),
Perchč mi par ch'una lattata(782) c'entri.
13.
Il rustico, che dar del suo non usa,
Non saper, dice dove sia il succhiello;
Che per casa non v'č stoppa nč fusa,
E che quel non č vin, ma acquerello.
Ci vuol, risponde Paride altra scusa.
E rittosi, di canna fa un cannello;
E in sulla botte posto a capo chino,
Con esso pel cocchiume succia il vino.
14.
E perch'č buono, e non di quello il quale
Č nato in sulla schiena(783) de' ranocchi,
A Meo, che piuttosto a carnovaleChe per l'opre lo serba, esce degli occhi,
E bada a dire: ovvia! vi farą male;
Ma quegli, che non vuol ch'ei lo 'nfinocchi,
Ed č la parte sua furbo e cattivo,
Gli risponde: oh tu sei caritativo!
15.
Non so, se tu minchioni la mattea(784),
Lasciami ber, ch'io ho la bocca asciutta;
Che diavol pensi tu poi ch'io ne bea?
Io poppo poppo, ma il cannel non butta.
Risponde Meo: poffar la nostra Dea
Che s'ei buttasse, la beresti tutta;
Oh discrezione! s'e' ce n'č minuzzolo.
Paride beve, e poi gli dą lo spruzzolo.
16.
Non vi so dir se Meo allor tarocca.
Ma l'altro, che del vin fu sempre ghiotto,
Di nuovo appicca al suo cannel la bocca,
E lascia brontolare. e tira sotto;
Ma tanto esclama, prega, e dągli, e tocca,
Ch'ei lascia al fin di ber, gią mezzo cotto;
Dicendo, ch'ei non vuoi che il vin lo cuoca;
Ma che chi lo trovņ non era un'oca.
17.
Poichč dal cibo e da quel vin che smagliaSi sente tutto quanto ingazzullito,
Risolve ritornare alla battaglia,
Donde innocentemente s'č partitoChč scusa non gli pare aver che vaglia
Che non gli sia a viltade attribuito.
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Paride Meo Meo Dea Meo
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