Ch'in Parïon(923) gonfiava le pillotte.
Era in bellezze un mostro di natura,
sicchè tutte le donne n'eran cotte;
E lasciando i rocchetti ed i cannelli,.
Per lui, ch'è ch'è, facevano a' capelli
48.
Non ch'ei ne desse loro occasïone,
Come qualche Narciso inzibettato,
Ch'una cuffia ch'e' vegga a un verone,
Di posta corre a far lo spasimato;
Anzi è un di quei ch'al mondo sta a pigione,
A bioscio nel vestire e sciamannato;
Ch'addosso i panni ognor tutti minestraTirati gli parean dalla finestra.
49.
Ed esse eran capone; ma chiarite,
Alfin lasciando quel suo cuor di smalto,
Fecer come la volpe a quella viteCh'aveva sì bell'uva e tanto ad alto,
Che dopo mille prove, anzi infinite,
Arrivar non potendovi col saltoGli è, me', disse, ch'io cerchi altra pastura,
Chè questa ad ogni mo' non è matura.
50.
Così non la saldò(924) già Martinazza;
La qual non vi trovando anch'ella attacco,
Poichè gran tempo andata ne fu pazza.
Avendo il terzo e quarto e ognuno stracco(925),
Condurre un giorno fecelo alla mazza(926);
E per via d'un che le teneva il sacco(927),
Avvezzo a tosar pecore ed agnelli,
Mentr'ei dormiva, gli tagliò i capelli.
51.
Quei capelli, ch'un tempo avea chiamatiDel suo fascio mortal funi e ritorte,
Le bionde chiome, o Dio! quei crini aurati,
Che ricoprivan tante piazze morte(928)
Onde(929) scoperti furo i trincerati,
Ove il nimico si facea sì forte;
Perchè, per quanto un autore accenna,
Lo rimondaron fino alla cotenna.
52.
E così Martinazza ebbe il suo fine,
Volendo vendicarsi per tal via;
Perocchè buona parte di quel crine.
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