E perde una gran mano di sessantiE gliene duole e non ci può star sotto,
Lor non dà retta, e a gagnolare intento,
Pietosamente fa questo lamento:
63.
Che t'ho io fatto mai, fortuna ria,
Che t'hai con me sì grande inimicizia,
Mentre tu mi fai perder tuttaviaChe e' non mi tocca(941) pure a dir Galizia?
Questo non si farebbe anche in Turchia,
L'è proprio un'impietade un'ingiustizia.
Vedi, non lo negar, che tu l'hai meco;
E poi se n'avvedrebbe Nanni cieco.
64.
Ma se volubil sei quanto sdegnosa,
Facciam la pace, manda via lo sdegno;
E se tu sei de' miseri pietosa,
Danne col farmi vincer qualche segno.
«Fu il vincer sempre mai lodevol cosa,
«Vincasi per fortuna o per ingegno;»
Perciò de' danni miei restando sazia,
La fortuna mi sia, non la disgrazia.
65.
Ma che gracch'io? forse che tai preghiereMi faran, dopo così gran disdetta,
Vincer la posta o porre a cavaliere(942)?
Sì, sì; ma basta poi non aver fretta.
O baccellaccio! l'orso(943) sogna pere,
L'è bell'e vinta, ovvia tientela stretta.
Capitale!(944) sai tu quel che tu hai a fare?
Se tu non vuoi più perder, non giocare.
66.
E cosi finiran tanti schiamazziDi chiamar la fortuna e i giuochi ingiusti;
Chè, mentre vi ti ficchi e vi t'ammazzi,
Tu spendi e paghi il boia che ti frusti.
Gli è ver; ma il libriccin del Paonazzi(945),
Ov'io ritrovo ognor tutt'i miei gusti,
Per forza al giuoco mi richiama e invitaAppunto come il ferro a calamita.
67.
E sarà ver ch'io abbia a star soggettoAd una cosa che mi dà tormento?
Come tormento? oibò! s'io v'ho diletto!
Sì; ma intanto per lui vivo scontento.
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Galizia Turchia Nanni Paonazzi
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