Egli stesso, come vedemmo, afferma che non fu l'ingegno a condurlo alla grande scoperta, nè la cognizione, benchè avesse pratica marina, ma l'aiuto divino; e il De Lollis conferma che non fu il genio, ma la fede che ve lo condusse. Noi sostituiremo alla fede e all'aiuto divino l'autosuggestione paranoica, che lo acceca su tutte le difficoltà vere, che gli fa credere di essere uno strumento di Dio, che sopra fragilissime basi, come era l'ipotesi toscanelliana, gli fa abbracciare e sostenere fin alla meta l'immenso problema che avrebbe spaventato qualunque altro uomo d'ingegno normale.
La paranoia ambiziosa e religiosa, già in germe prima in lui fin da giovanotto, giganteggiante poi sotto agli strazi della Giamaica, come gli fa sopportare fatiche e dolori, che avrebbero abbattuto qualunque uomo sano, così ispira nella maturità quell'uomo, che per coltura di poco passava la media, e lo fa giungere lì dove appena una grande genialità od una profonda dottrina sarebbero pervenute.
Nè si dica, col solito banale clichè dei critici volgari, essere stata così la ispirazione religiosa che tanto lo ingrandì, come molti dei caratteri che egli offerse, scrittura, firma, un effetto dei tempi. Prima di tutto i geni sono sempre superiori, sono i padroni, non gli schiavi dei loro tempi, specie nelle cose che già appaiono a questi assurde: d'altronde poi ogni paranoico assume il punto di partenza dei suoi deliri alle condizioni ambienti; così ora si preoccupa dello spiritismo e del magnetismo, della quadratura del circolo, come allora dei diavoli, delle streghe, della fine del mondo e della liberazione del S. Sepolcro.
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